Abbiamo un problema con le sneakers: ce ne sono troppe - LifeGate

2023-02-28 13:57:42 By : Mr. Eason Guan

Per fare un paio di sneakers occorrono 65 componenti e 360 fasi di lavorazione, nel mondo ogni anno ne vengono prodotti 24 miliardi di paia.

Se l’industria delle sneakers fosse una nazione, sarebbe la diciassettesima più inquinante al mondo. Negli ultimi cinque anni questo settore è cresciuto in modo esponenziale e le attuali proiezioni prevedono che il mercato globale delle scarpe da tennis supererà i 95 miliardi di dollari entro il 2025, quasi il doppio rispetto alla valutazione del 2016, che era di 55 miliardi di dollari.  Ogni anno vengono prodotte oltre 24 miliardi di paia di scarpe, di cui la maggior parte sono sneakers, secondo il World Footwear Yearbook.

La produzione di sneakers pesa per l’1,4 per cento sulle emissioni globali di gas serra. Uno studio condotto dal MIT nel 2013 ha rilevato infatti che un paio di scarpe da corsa standard genera circa 13,6 chilogrammi di emissioni di CO₂.

Questo perché una grossa fetta delle sneakers presenti sul mercato è realizzata prevalentemente con fibre e materiali derivanti dalla plastica come il poliestere, il poliuretano termoplastico (Tpu), il polietilene tereftalato (Pet) e l’etilene-vinilacetato (Eva). Questa commistione di più materiali comporta anche un altro fattore negativo: i materiali, plastici ma diversi tra loro, solitamente sono tenuti insieme, cuciti o incollati, in modi spesso complicati, che ne rendono difficile il riciclo.

Un paio di scarpe da corsa standard comprende 65 parti che richiedono più di 360 fasi di lavorazione per essere assemblate: cucitura, taglio, stampaggio a iniezione, schiumatura, riscaldamento e così via. Il team del Mit ha messo nero su bianco il fatto che tali processi siano ad alta intensità energetica, e quindi ad alta intensità di carbonio.

Oggi esistono molte alternative di sneakers realizzate con materiali bio-based o ecologici, ma questa produzione non è ancora su larga scala perché in termini di durabilità ancora c’è un po’ di strada da fare.

Le sneakers infatti devono resistere all’usura più di altre tipologie di scarpe, soprattutto quando si parla di scarpe acquistate non tanto per moda quanto per correre, fare trail running o comunque dello sport. Quando si tratta di prestazioni, ad oggi, i materiali sintetici sono ancora difficili da battere: rendono le scarpe più comode, morbide, resistenti e, soprattutto, performanti.

Tansy Hoskins, giornalista pluripremiata e scrittrice, nel suo libro “Foot work: what your shoes are doing to the world” spiega come il mondo della calzatura, in fatto di sostenibilità, sia dieci anni indietro rispetto a quello della moda. Hoskins si concentra soprattutto sull’aspetto che riguarda alle condizioni dei lavoratori del settore, spesso drammatiche.

Il volume ruota intorno ad alcune, fondamentali, domande: vale la pena distruggere la foresta pluviale per fare scarpe da ginnastica? È giusto che le fabbriche sfornino 24,2 miliardi di paia di scarpe all’anno, ma la ricchezza è distribuita in modo così diseguale che decine di migliaia di bambini si ammalano andando a scuola a piedi nudi? È giusto che le persone che conciano la pelle debbano avere un’aspettativa di vita di soli cinquant’anni?

Hoskins si è infatti concentrata su quello che gli oggetti rappresentano e ci raccontano di noi e della nostra società e, in questo caso, del capitalismo e dello strapotere delle aziende. La globalizzazione ha infatti portato a un cambiamento radicale nel luogo e nel modo in cui vengono prodotte le scarpe. Con una produzione così a buon mercato, solo nel 2018 sono stati prodotte 66,3 milioni di paia al giorno. Questo produce un impatto devastante sulle persone, sugli animali e, non da ultimo, sul Pianeta.

Le sneakers a pensarci bene pervadono ormai qualunque aspetto delle nostre vite, hanno una valenza tecnica, perciò ci accompagnano nella quasi totalità delle attività sportive, dalla corsa, al tennis e al trail running, ma sono anche cool. Ormai anche il mondo della moda e del lusso le ha accettate e inglobate. In poche parole è veramente difficile poter fare a meno di loro.

Nonostante il mondo della calzatura sia ancora indietro in termini di coscienza ambientale, come sostenuto da Hoskins, molti brand si sono messi al lavoro per cercare e trovare delle alternative bio-based. C’è il brasiliano Veja, che utilizza cotone e materiali riciclati oltre a gomma naturale, Allbird che indica l’impronta di carbonio necessaria per produrre le sue sneakers e Acbc che utilizza una metodologia che analizza i dati scientifici per misurare ed efficientare il processo per creare prodotti con un minore impatto ambientale.

Non solo, la vita delle sneakers, mediamente, è facile da allungare. Il punto più critico è la suola, che fortunatamente si può sostituire. Tra gli sneakerhead, ovvero tra quelli per cui la scarpe da ginnastica sono una sorta di culto, è sempre più usuale riparare e modificare le sneakers vecchie, o semplicemente che non piacciono più, risuolandole in maniera creativa.

Questa alternativa fornita dai più cool tra gli sneakerhead a ben vedere ha un risvolto positivo anche sull’ambiente: più usate sono, le sneakers, e meglio è, se poi sono state modificate allora sono ancora più uniche.

Il designer britannico Linus Nutland ad esempio ci ha costruito la sua fortuna nel risuolare e restaurare le Nike con le suole Vibram. L’azienda lecchese produce infatti suole in una mescola, la Megagrip, che oltre ad essere performante e offrire presa su tutti i tipi di terreno, è anche iper resistente all’usura.

A post shared by Linus Nutland (@linusnutland)

In Italia il più famoso restauratore di sneakers è Jacopo De Carli, che nel 2018 ha fondato DcjLab, hub creativo dove si customizzano e riparano sneakers. Certo, ci sono risuolature d’autore, come quelle di De Carli e Nutland, ma sono tantissimi i negozianti e calzolai che aderiscono alla campagna di Vibram “Repair if you care” e che offrono il servizio di risuolatura per ogni tipo di scarpa.

Considerando che solo nell’ultimo anno sono state prodotte, in tutto il mondo, 24 miliardi di paia di scarpe, è chiaro che la spinta all’azione non è più procrastinabile e, laddove non siano le aziende e i brand a prendersi la responsabilità di una produzione più etica e sostenibile, noi consumatori abbiamo un enorme potere nelle nostre mani. Ovvero comprare meno e allungare la vita dei prodotti che abbiamo già, a maggior ragione nel caso delle sneakers, settore in cui questa operazione le rende ancora più uniche e speciali.

A post shared by Jacopo De Carli (@jacopodecarli)

Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Leggi altri articoli su questi temi: Inquinamento, industria tessile, moda

Superare la connotazione tra maschile e femminile è una conquista della moda gender fluid che dobbiamo alla Gen Z.

Estremamente versatile come fibra tessile, la canapa necessita di poca acqua. Nel nostro Paese si coltivava molto, ora davvero poco.

In un mondo dominato dai brand anche la sostenibilità ne è diventato uno: per consumare meglio è necessario consumare meno

Il mercato della “pelle vegana” è in forte ascesa, ma non tutti i materiali bio-based sono buoni per l’ambiente: ecco quello che c’è da sapere

Comprare meno, comprare meglio. Ecco nove brand per la nostra selezione mensile di marchi eco-conscious e rispettosi delle condizioni dei lavoratori

Tessile e clima sono due realtà molto connesse, che si influenzano a vicenda. E la crisi climatica sta cambiando molte cose.

Plus size e adapting clothing, una moda che possa definirsi sostenibile deve essere inclusiva: ovvero prendere in considerazione tutti i tipi di corpi.

Comprare meno, comprare meglio. Ecco nove brand per la nostra selezione mensile di marchi eco-conscious e rispettosi delle condizioni dei lavoratori

È morta a 81 anni a Londra Vivienne Westwood, designer eclettica e attivista, regina della cultura punk e votata alla causa ambientale